Per raccontare il paradiso non bastano due righe, quindi malgrado la mia sinteticità, questo post è molto lungo. In compenso racchiude un sacco di vibrazioni positive.
Ferragosto. Tre muli da soma avanzano lungo la strada che da Ponte Campo porta all’Altopiano di Veglia, in mezzo alla polvere alzata dai fuoristrada. Sorridono e salutano gli escursionisti che li guardano con un misto di compassione e presa per il culo.
Si fanno forza a vicenda per mantenere unito il gruppo, si promettono giri di birrette fresche per motivarsi. Se li chiami rispondono al loro nome: Massimo, Lucone e Erica.
I muli siamo noi, trasportiamo viveri (tanti), tende, sacchi a pelo e svariati suppellettili utili ad una comoda vita in campeggio. Non abbiamo ceduto alla lusinga della jeep, che col suo aroma inconfondibile porta su e giù i carichi dei villeggianti.
Noi vogliamo entrare in punta di piedi in quel tempio naturale che è Veglia.
Con un tale stimolo l’esito è certo: in tempi tutto sommato decenti raggiungiamo il campeggio Isola in fondo alla piana.
Troviamo con un po’ di fortuna il giaciglio perfetto in una radura tra i larici; abbiamo tutto quello che ci serve: braciere e legna avanzata da chi c’era prima di noi, tavolone di legno, spazio per le amache.
Birretta e spuntino di benvenuto, e con le spalle scariche ci sentiamo come nuovi e desiderosi di sgranchirci le gambe.
La piana offre mille spunti diversi: dalla passeggiata con dislivello pressoché nullo, alle traversate di più giorni.
La conca di Veglia è punteggiata da diversi alpi. Si incontra prima Purteja ciòè la porta dell'altopiano, poi Cianciavero, Aione e Ponte che giacciono alle pendici del massiccio del Leone, più avanti l’Isola tra il rio d’Aurona e il Rio Mottiscia. Sulla sinistra idrografica del torrente sono Cairasca, Fonte e Cornù, e poco più defilata La Balma, sulla via che porta a Devero e a Ciamporino. A corolla della vasta prateria, i boschi di larici, rododendri e mirtilli, oltre di nuovo spazio ai prati e alla pietra.
La nostra passeggiata pomeridiana parte da Ponte e ci conduce nei boschi di larice ai Laghi delle Fate e delle Streghe, dove la salita si fa più impegnativa. Presto siamo fuori dal bosco, la salita si ammorbidisce e il sentiero corre mezzacosta regalandoci un panorama di ampio respiro. Giungiamo finalmente al Lago d’Avino. Il bacino di origine glaciale fu sbarrato da una diga all’inizio del 900. Le sue acque fanno da specchio ai contrafforti del Monte Leone.
Il Leone, che tra l’altro è la vetta più alta delle Lepontine, sta alla piana di Veglia un po’ come il Cistella sta alla valle Antigorio. Due giganti di pietra che con la loro mole hanno suscitato ammirazione, ma anche profondo timore nel cuore dei valligiani. Luoghi maestosi e magici, popolati di leggende. Proprio la piana d’Avino fu designata come luogo di ritrovo delle streghe per i loro sabba, in maniera del tutto simile all’altopiano lunare del Cistella.
Qualche amuleto o potere magico lo devono possedere anche i due coraggiosi che vediamo tuffarsi nelle acque gelide del lago. Malgrado ci sia li sole fa abbastanza fresco per via del vento.
Nel frattempo abbiamo smaltito anche il pranzo, e sentiamo la necessità di tornare al campo base, non prima di avere fatto rifornimento di yogurt e formaggi a Purteia. Ma lo yogurt da solo non è la stessa cosa che lo yogurt con i mirtilli! Ed eccoci a schiena china, mondine di alta quota che pazientemente staccano ogni singolo frutto dalla piantina. Siccome ce ne sono tanti e sono anche belli, dieci minuti diventano un’ora. Soddisfatti del raccolto, e a questo punto stanchi, scendiamo i tornanti, fino a raggiungere il bosco.
Il sentiero segue parallelamente il rio Cianciavero, e si avvicina al torrente in corrispondenza delle Marmitte dei Giganti, dove la forza erosiva dei vortici d’acqua ha scavato questi affascinanti calderoni.
Siamo di nuovo alla piana, e dopo una mini-deviazione per yogurt e formaggi, torniamo in campeggio.
Come una perfetta catena di montaggio recuperiamo ulteriore legna e ci apprestiamo ad accendere il fuoco per la grigliata. Riempiamo gli stomaci e presto si fa buio, veniamo avvolti da una fresca brezza e dal cielo stellato. Sguardi all’insù in cerca di una stella cadente, e ci auguriamo la buonanotte.
La mattina dopo ci alziamo, orfani di Lucone, che all’alba ha raccolto i suoi bagagli ed è sceso a a valle: oggi a Madonna del Sasso, sul lago d’Orta, si festeggiano gli scalpellini, e per lui è importante non mancare.
Ci gustiamo lo yogurt con i mirtilli del giorno prima e carta alla mano scegliamo la nostra meta: un altro specchio d’acqua ma in direzione opposta al lago d’Avino.
Ci dirigiamo infatti verso li sentiero che porta all’alpe Devero, che si imbocca all’altezza di Cornu. Decidiamo di tenere il percorso che sale subito all’andata, per poi passare dalla valle del rio Frua al ritorno. Anche qui, appena prendiamo quota, il sentiero si fa panoramico e riconosciamo subito l’itinerario del giorno prima. Arrivata in prossimità del lago, mi entusiasmo per la quantità di genziane purpuree che incontro, non ne ho mai viste così tante nello stesso luogo.
Al Lago del Bianco troviamo un certo affollamento. Orde di bambini e cagnolini che hanno la meglio su i genitori sguazzano felici con l’acqua fino alle caviglie. Dopo aver tenuto i piedi a mollo anche noi decidiamo di continuare verso il Pian d’Erbioi, passando tra ruscelli che scivolano sulla sabbia facendola brillare.
Dopo una breve salita ci troviamo davanti l’imponente massa del Pizzo Moro; sulla nostra sinistra, invece, scorgiamo un bivacco.
Strano, perché non è segnato sulla mappa, ma effettivamente la costruzione sembra nuova. Massimo decide di andare in perlustrazione; per me, come ogni giorno, scatta l’ora del raccolto dei preziosissimi frutti blu.
Passata un’ora, di ritorno dalla Conca delle Caldaie, arriva Massimo con notizie più certe: il bivacco ha nove posti letto ed è talmente nuovo da non essere stato ancora inaugurato. Il ricovero sarà la base per gli alpinisti in cerca di nuove vie.
Sono già le due passate quando iniziamo la discesa, che passa da arbusti ad un rado lariceto e si indirizza verso il Pian du Scricc: massi erratici che diventano terrazze per prendere la tintarella, ponticelli in legno che scavalcano il torrente in diversi punti, brune alpine al pascolo che fanno tintinnare il loro campanacci.
Di mucche ce ne sono parecchie. Qui come a Devero, nel corso degli ultimi decenni, l’attività di pastorizia ha avuto una rinascita. Gli allevamenti estensivi su pascoli naturali giovano all’economia locale (e alle nostre pance). Non solo, aiutano anche a preservare determinate specie vegetali, e a diversificare gli ambienti (dove non c’è pascolo, si ricrea il bosco) e quindi contribuiscono alla biodiversità.
Dopo queste riflessioni, e arrivato il tempo di una birretta, che ci gustiamo sul terrazzo panoramico del Rifugio Città di Arona. Intanto discutiamo su cosa fare l’indomani.
La meteo svizzera non da buone notizie, piogge nel pomeriggio e forse anche nella serata.
Dopo poco più di 24 ore ci sentiamo già a casa e l’idea di andarcene ci rende tristi.
Optiamo per la soluzione più coraggiosa e anche la più pigra, resisteremo stoici all’acqua e aspetteremo nuove informazioni riguardo il weekend che ormai è alle porte.
La fortuna è dalla nostra parte, il venerdì piove, ma solo nel pomeriggio, lasciandoci il tempo di grigliare a mezzogiorno. Passiamo la giornata alla piana tra libri, cibo e siesta, e ci godiamo un po’ la vita da ciabattoni.
In serata il Parco organizza una conferenza in onore del cinquantesimo anniversario della sua fondazione su i ghiacciai e i cambiamenti climatici. Il relatore, Enrico Zanoletti, geologo e guida ambientale, il giorno dopo terrà un’escursione sul sentiero glaciologico d’Aurona alla quale Massimo vuole assolutamente prender parte.
Visto che alle nove inizia l’incontro, e che è la nostra ultima sera decidiamo di cenare fuori. All’albergo ristorante Lepontino ci accolgono calorosamente il gestore Ciro e la sorridente Ania.
Abbiamo anche la fortuna di essere seduti nel tavolo a fianco ad Enrico, e la cena passa piacevolmente tra mille chiacchiere. Così velocemente che siamo in ritardo per l’incontro. Enrico ci abbandona dieci minuti prima, mentre Ciro ci offre due ottime genziane. Rimaniamo d’accordo per un secondo round dopo la conferenza che si rivela, come immaginavamo, molto interessante.
Purtroppo però Enrico ci da una brutta notizia, l’escursione non si terrà a causa di temporali previsti per il primo pomeriggio. Ci dispiace molto, ma siamo sicuri che non mancheranno altre occasioni per essere guidati da lui.
Malgrado ciò, torniamo alla tenda felici per le belle conoscenze fatte.
Sabato, è tempo di addii: smontiamo e passiamo al Lepontino a salutare Ciro, ma non c’è, in compenso troviamo Ania che come noi condivide la passione per la montagna e ha un entusiasmo contagioso.
Prendiamo gli zaini e tutto quello che abbiamo appeso ad essi e siamo di nuovo in modalità mulo.
Salutiamo la piana di Veglia, passiamo da De Giuli, per un ultimo yogurt.
Incontriamo gli occhi grandi del piccolo Danio, che guardando Massimo gli chiede se quello che ha attaccato allo zaino sia lo scudo di Capitan America. Noi rispondiamo prosaicamente che si tratta di una tenda, e lo salutiamo dicendogli che è fortunato a vivere qui d’estate, ma non serve, lui lo sa già.
L’avventura è finita Capitan America, si torna in città.
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