Sulle orme di briganti e camosci.
24 ore o poco più, per annusare l’aria fresca di Majella. È la dura legge delle vacanze itineranti mordi e fuggi, un susseguirsi di luoghi e volti che scivolano via velocemente. Dato che non possiamo fare diversamente, è inutile farsi prendere dalla voglia di concentrare troppe cose in una volta sola.
Scegliamo come base Roccacaramanico, grazioso paese scioglilingua, che torna a vivere solo d’estate grazie alle seconde o terze generazioni che hanno ristrutturato le case dei loro avi.
A Roccacaramanico ti può capitare di discorrere amabilmente con simpatiche signore in villeggiatura tanto quanto con la fauna locale: volpi, cinghiali, cervi e gattini. La posizione è strategica anche per visitare il centro del parco di Sant’Eufemia, che ospita anche un grandissimo giardino botanico.
Al centro visite ci muniamo di cartina e decidiamo dopo un’attenta osservazione quale sarà la nostra meta. Punto di partenza il rifugio Bruno Pomilio, con una vista che spazia dal Gran Sasso alla costa dei Trabocchi: in giornate molto terse dicono che si vedano chiaramente le Tremiti e la costa albanese.
Direzione Tavola dei Briganti e oltre.
Dopo un breve tratto su strada asfaltata ci addentriamo tra le distese di pino mugo che rilascia il suo aroma inconfondibile e ci conduce ad una dorsale chiamata Scrimacavallo. Grandi rocce piatte riportano vecchie incisioni che risalgono a più di 150 anni fa.
La Tavola dei Briganti, è la testimonianza di quegli uomini, per lo più pastori, agricoltori ed ex militari dell’esercito borbonico che si ribellarono, talora in maniera cruenta, perpetrando razzie e saccheggi, al nascente stato unitario e alle condizioni di miseria imposte dai potenti. La Banda della Majella (così passarono alla storia le diverse bande di briganti) che trovava rifugio proprio su queste montagne, fu sgominata ferocemente dal Re e dal suo esercito.
Non facciamo finire qui la nostra escursione, le gambe sono ancora abbastanza fresche e decidiamo di proseguire un po’ verso il Monte Amaro, il nome descrive bene le aspre pietraie che lo contraddistinguono.
Giunti al Bivacco Fusco la montagna ci svela nuove prospettive scenografiche e anche la possibilità di osservare una quantità di camosci mai vista prima, ad occhio superano il centinaio. Scendiamo affiancandoli verso il Vallone delle Murelle, che percorriamo per intero per poi svoltare di nuovo sull’altro fianco della montagna.
Qualche passaggio mozzafiato, con lo strapiombo sotto i nostri piedi e rivediamo sull’altro versante il rifugio, che ci chiama con la promessa del tanto agognato spuntino di metà pomeriggio.
Sparuti gruppi di camosci, per lo più madri seguite dai piccoli, fanno capolino ogni tanto dalle rocce sovrastanti.
Ci rituffiamo nella mugheta, fino ad incrociare il sentiero dell’andata. Arrivati al rifugio ci concediamo un un’ora di chiacchiere con il simpatico gestore Roberto. Ci racconta della sua vita in alta quota, della Majella, e delle infinite potenzialità di questo territorio, e ci congeda con una massima: “Se la montagna vive, prospera anche tutto il resto”.
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