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La via invisibile



La Sterna artica (Sterna Paradisea) ogni anno riesce a totalizzare circa 70.000 chilometri di viaggio, raggiungendo il primato tra tutte le specie viventi sulla terra. Il suo percorso migratorio parte dalle regioni artiche, dove soggiorna tra agosto e settembre per nidificare, e arriva in Antartide tra febbraio e marzo. La via che segue non è rettilinea da Nord a Sud, ma forma delle linee sigmoidali; infatti in uno degli studi sulla rotta di questo incredibile uccello migratorio è stato dimostrato che dalla Groenlandia la Sterna codalunga si dirige prima verso le Azzorre, dove fa una scorpacciata di zooplancton e pesci di vario tipo, per poi seguire le coste dell'Africa Occidentale e dirigersi verso l'Antartide.

Questi uccelli, ma non solo, si orientano grazie alla capacità di percepire il campo magnetico terrestre: Peter Hore, professore di Oxford che ha condotto una ricerca sull'argomento, spiega che nell'organismo della Sterna c'è una proteina chiamata 'criptocroma' che reagisce alle variazioni del campo magnetico, insomma una vera e propria 'bussola biochimica' attivata dalla luce.

L'escursionista esperto sa che per scegliere la direzione corretta leggendo una mappa, nell'operazione di orientamento della carta topografica con la bussola, deve considerare la declinazione magnetica, ovvero l'angolo di differenza tra nord geografico e nord magnetico. Allo stesso modo il beccafico (Sylvia borin) prima di muoversi nella corretta direzione migratoria esegue dei particolari movimenti con la testa per captare le onde magnetiche. Una ricerca su dei beccafichi tenuti in cattività condotta da un gruppo dell'Università di Oldeburg, ha dimostrato che quando sperimentalmente è stato eliminato il campo magnetico i movimenti della testa sono triplicati, e la direzione presa in seguito è risultata casuale.

Inoltre è stato dimostrato che l'orientamento negli animali e negli insetti avviene anche seguendo riferimenti astronomici, ma non esclusivamente seguendo sole, luna e stelle: per esempio lo scarabeo stercorario nel suo vagabondare notturno si affida alla luce generata dalla Via Lattea.


Oggi per noi umani sembra impossibile orientarsi senza l'ausilio di strumenti hi-tech come ricevitori GPS e smartphone, o analogici come bussola magnetica e cartina. Eppure, come evidenzia il geografo esploratore Franco Michieli in uno dei suoi libri Andare per silenzi, l'homo sapiens si è evoluto e ha passato la quasi totalità della propria esistenza conducendo una vita da cacciatore e raccoglitore senza fissa dimora, negli spazi aperti dei più svariati ambienti della Terra. Infatti fino alle prime forme di agricoltura stanziale, risalenti a un periodo compreso tra i dodicimila e i diecimila anni fa, la nostra specie era riuscita a migrare per generazioni, arrivando a popolare quasi tutti i continenti.

Il nostro punto di vista acquisito con la civiltà ci fa immaginare questi umani preistorici perduti nelle lande selvagge, vagando nell'ignoto di territori sconosciuti, ma è solo il riflesso della nostra concezione statica del territorio, iniziata con l'addomesticazione di piante e animali e le prime costruzioni di villaggi. E' in questo momento storico che avviene una rottura nel nostro cammino evolutivo: da allora in poi le civiltà umane arroccate nell'ambiente circoscritto delle città, hanno avuto bisogno di secoli di studi astronomici e geografici prima di arrivare a sviluppare i primi strumenti capaci di risolvere i problemi di orientamento. Infatti a poco più di mille anni risale la realizzazione di uno strumento come il kamal, una piastra rettangolare di legno con una cordicella al centro, che con la sua funzione di misurare gli angoli è l’antesignano del sestante. Una delle prime testimonianze sulla bussola si trova in una poesia del francese Guy de Provins all’inizio del XIII secolo, il quale la definisce come una brutta pietra scura, nella quale è infilata una lancetta di ferro.


Con le sue invenzioni la specie umana non fa altro che emulare ciò che nelle altre specie animali sembra frutto dell'istinto, ma che in realtà è solo una delle espressioni del rapporto di simbiosi con l'ambiente nel quale vivono. Un rapporto che oggi poche popolazioni umane mantengono. Un esempio sono gli aborigeni australiani, per i quali il territorio è in un certo senso un'estensione del proprio corpo, e i luoghi sono tali perchè vi accade, o vi è accaduto, qualcosa con cui sono in stretta relazione: il transito o la sosta di animali in certi periodi dell'anno, lo scorrere o lo svoltare di un fiume, la costanza nel soffiare di un vento o il suo modificarsi nei pressi di una catena montuosa, lo spaccarsi del ghiaccio marino secondo certe direzioni o il rumore della risacca che muta al variare dell'esposizione e della conformazione della costa, e così via all'infinito, perchè infiniti sono gli eventi della natura. Queste innumerevoli conoscenze – a ciascuna delle quali corrisponde un termine preciso nel linguaggio – si intrecciano, creando nella mente delle “mappe” di territori anche molto estesi, dove orientarsi diviene un fatto normale. Ed è proprio con il linguaggio espresso attraverso delle canzoni che gli aborigeni australiani mappavano il loro territorio, come è stato descritto in un celebre libro di Bruce Chatwin Le vie dei canti, tramandandone la conoscenza in melodia.

Per l'uomo contemporaneo inurbato sperimentare quello che viene chiamato l'orientamento naturale può essere visto come il tentativo di recupero di questo antico legame con l'ambiente.

È proprio questo l'obiettivo di Franco Michieli che nei suoi libri e nei suoi seminari, ad uno dei quali abbiamo partecipato anche io ed Erica, mette a disposizione la sua esperienza per farci sperimentare la sensazione di perderci, la condizione fondamentale per imboccare quella che lui chiama la via invisibile, qualcosa che non è pianificato dall'uomo ma che viene da altrove: un bagliore della filosofia dell'universo. (cit. La vocazione di perdersi).

L'esplorazione intesa come sperimentazione è pedagogica per tutte le specie animali, infatti gli uccelli migratori hanno un'intelligenza spaziale molto sviluppata perchè durante la loro crescita apprendono esplorando territori man mano più vasti. Similmente anche noi potremmo iniziare liberandoci dei nostri strumenti tecnologici, e provare ad avere un'interlocuzione fisica e diretta con il territorio, senza intermediazioni: leggendo i riferimenti naturali e costruendo le nostre mappe mentali. Improvvisare una via tenendo una direzione attraverso la posizione del sole, percepire la provenienza del vento per far si che ci aiuti seguendolo in caso di nebbia, immaginare la conformazione di un territorio considerando i corsi d'acqua, capire l'altitudine notando la comparsa o scomparsa di determinate specie vegetali o arrivando al limite del bosco, seguire la posizione della propria ombra per sapere a che ora del giorno siamo giunti.

Ne ha tanti di consigli Michieli per iniziare questo cammino, tra i più essenziali troviamo il dedicare molto tempo all'osservazione, imparare a leggere bene le mappe e sognarci sopra per giorni, fino a crearne di fantastiche dentro di noi; inventare personalmente i propri itinerari, facili o difficili che siano;... immergersi nel ritmo della natura pernottando in tenda o all'aperto. In tutto questo cominceremo utilizzando gli strumenti tradizionali, fino a coglierne i limiti e a scoprire, a poco a poco, che può essere più semplice trovare la via con gli strumenti naturali che sono in noi. Mal che vada, avremo fatto un ottimo esercizio: sforzarsi di scegliere sulla base di osservazioni dirette e personali.


Attenzione però: non ci si inventa esploratori da un giorno all'altro, Michieli ha iniziato giovanissimo a compiere lunghe traversate, la prima è stata quella delle Alpi quando era appena maggiorenne, e per vent'anni ha utilizzato carte topografiche, bussola, altimetro e orologio. Solo a partire dalla fine degli anni novanta, dopo aver accumulato conoscenze ed esperienze, ha iniziato ad esplorare affidandosi esclusivamente alle sue capacità naturali sviluppate. Come guide ambientali escursionistiche nel nostro lavoro non potremo mai abbandonare completamente l'ausilio di strumenti: sapere all'istante le coordinate esatte da comunicare ai soccorsi in caso di incidente potrebbe salvare delle vite.


Quella di Franco non è una crociata contro gli strumenti tecnologici e analogici, ma è un invito a riappropriarci delle nostre ancestrali capacità, per evitare che siano definitivamente perse; questa attività potrebbe aiutarci inoltre a ricucire lo strappo tra la nostra civiltà e l'ambiente naturale, perchè in questo regno virtuale, oggi più che in passato, il rapporto personale con la natura rappresenta la conoscenza complementare che può riequilibrare la nostra visione.

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