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Traversata Antigorio - Vigezzo. Terzo giorno.

Aggiornamento: 31 dic 2020

Dall'alpe Cortevecchio (Agrasino) all'alpe Fondomonfracchio (Onsernone).

Laghetto nei pressi del passo di Fontanalba

Sveglia, sveglia, è già chiaro fuori!

L’idea è sempre quella di partire all’alba, ma abbiamo tempi di reazione molto lenti al mattino. Così va a finire che non riusciamo mai a partire prima delle 8 (se va bene) e anche oggi non va diversamente.

Lasciato il rifugio alle spalle, il primo tratto del nostro itinerario prevede di perdere duecento metri di quota. Man mano che avanziamo il sentiero si avvicina al torrente Isorno, lo guadiamo nei pressi di una bella cascata sotto l’alpe Cortetto, un pelo più a nord rispetto al sentiero per evitare di passare in mezzo ad un folto gruppo di mucche al pascolo.


Cascata all'alpe Cortetto

Dopo il guado si sale dolcemente fino all’alpe Cantonazzo, dove incontriamo una mulattiera lastricata, simile a quelle che si possono trovare in Vigezzo e Onsernone.

Oggi il nostro giro finirà proprio in questa bella valle ticinese, ma siamo ancora molto lontani dal nostro traguardo.

Il primo valico che dobbiamo superare è quello della forcola di Larecchio che ci piace tanto per la sua vista sul lago sottostante, per raggiungerlo decidiamo di seguire il sentiero per l’alpe Camana. L’alpe è composta da tre edifici (tra i quali una stalla molto lunga) leggermente sopraelevati rispetto ad una piccola conca ricca di acqua, la cui parte centrale è infatti occupata da una torbiera.


Alpe Camana

Da Camana in poco più di mezz’ora arriviamo alla forcola, consapevoli di aver superato tutto il dislivello positivo della giornata. Foto di rito e scendiamo al vicino lago di Panelatte, in cerca di riparo dal vento che spira sempre dalla forcola.

Consumiamo anticipatamente e velocemente il pranzo perché vogliamo giungere presto al bivacco di Fondomonfracchio e sbarazzarci degli zaini. Da Panelatte in dieci minuti si arriva al passo di Fontanalba, che è la porta di accesso all’alta valle Onsernone.


Dalla forcola di Larecchio con il lago omonimo come sfondo

Quanti spalloni avranno visto queste pietre! Un aneddoto buffo riguarda la prima testimonianza scritta riguardo il contrabbando. Risale al 1750 e ha come protagoniste 44 donne che cercarono di far passare di sfroso ben 10000 cappelli di paglia - la valle Osernone è famosa per la lavorazione di questo materiale.

Noi invece vorremmo riempire le nostre bricolle (zaini) di mirtilli; dobbiamo quindi decidere se seguire la tabella di marcia o attardarci a raccogliere gli amati frutti, che crescono veramente grandi e saporiti nei pressi dell’alpe Galeria.


Alpe Galeria

Tiriamo avanti, e iniziamo a scendere con pendenza maggiore, la carta indica che il percorso che stiamo intraprendendo non è segnalato ed è pure ostico (è disegnato con puntini neri), non ci crediamo, e infatti è un errore. Il sentiero è agevole e ci fa perdere quota velocemente serpeggiando tra larici e rododendri.


Ad un certo punto il bosco cambia: pecci misti a latifoglie, l’umidità cresce e con lei il profumo di funghi. Ne siamo molto golosi, e piano piano stiamo imparando anche a riconoscere le diverse specie. Tra i nostri preferiti ci sono i finferli o gallinacci, abbiamo anche constatato che amano crescere in prossimità degli abeti rossi e anche questa volta non tardano a farsi vedere. Poco più in basso, il bosco di faggi è il regno dei boleti. Ce ne sono di veramente grossi, ne prendiamo solo un paio di dimensioni più piccole e belli sodi che conserveremo insieme ai giallini per una risottata domenicale. I funghi ci fanno rallentare un po’, ma ormai manca poco a Fondomonfracchio.


Passiamo dall’alpe Croso fuori, e visitiamo il suo carinissimo bivacco. Erica vorrebbe fermarsi qui a dormire, ma la nostra meta finale si trova a più di un’ora e mezza e dopo due giorni e mezzo senza birra il richiamo è impellente.


Sì, avete capito bene! Stiamo correndo per raggiungere una birra!

Le cose vanno però raccontate con ordine e abbiamo dei pit stop intermedi da fare.

Prima di tutto arriviamo al bivacco, anche se il termine è riduttivo, si tratta di un vero e proprio albergo autogestito con: 2 camerate, 24 posti letto complessivi, 2 bagni (c’è anche la doccia tiepida!), un salone con caminetto e una cucina gigante. Siamo straniti dal dover passare la notte da soli in un luogo così grande.


Lasciamo giù gli zaini di corsa, e continuiamo a camminare in direzione del confine svizzero. Appena prima di questo in località Bagni di Craveggia sorgono i resti di quella che una volta fu una stazione termale. Venne distrutta e ricostruita più volte, fino all’ultima valanga del 1951, che la ridusse a un rudere.


Bagni di Craveggia

In questo punto dove il greto del fiume si fa più ampio e diventa un solarium naturale per un gruppo di bambini selvatici e le loro famiglie, scaturisce anche una fonte termale di acqua a 28°C, con la quale vengono riempite alcune vasche di recente costruzione. Massimo ci rimane male perché sperava che l’acqua fosse più calda e le vasche più grandi. Malgrado ciò, il luogo è veramente rilassante. La luce pomeridiana accarezza le cime degli alberi e gioca con gli ometti di pietra costruiti con i sassi del torrente creando un’atmosfera magica.

Ometti di pietra lungo il rio dei Bagni

L’incantesimo è rotto però dai nostri stomaci ormai vuoti che brontolano e unitamente reclamano la loro ricompensa; un'altra mezz’ora di cammino e siamo seduti comodi al bar di Spruga con la nostra birra fresca in mano. La simpatica oste ha un accento che tradisce le sue origini laziali (o umbre forse?) e lo sguardo di chi è finito in questa valle remota in fuga da chissà cosa.


Alpeggio sulla strada per Spruga

Sono luoghi ideali dove rifugiarsi, lontano dalle grandi città e dal caos.

Non a caso qui cercarono nascondiglio gruppi di partigiani durante l’estate e l’autunno di fuoco del ’44. Purtroppo i boschi e gli stretti anfratti non bastarono e alcuni di essi trovarono la morte per mano nazifascista. Le loro storie sono raccontate dai cippi funebri e dai cartelli che si trovano lungo la stessa via che ripercorriamo, verso il nostro rifugio, al calar del sole.


Tornati a Fondomonfracchio è ora della cena, consumata davanti al camino acceso, con un po’ di malinconia perché il nostro viaggio è quasi giunto al termine.

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