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I Walser del silenzio

Aggiornamento: 4 ott 2018

Agaro, il villaggio che non c'è più.

in alto: la piana della Toce vista da Suzzo Alto, in basso: il lago di Agaro visto dal sentiero che conduce all'Alpe Poiala (foto scattata in una precedente escursione)

Tre ore di cammino separano Baceno, capoluogo della valle, da Agaro, lago artificiale che un tempo ospitava verdi praterie e la più isolata comunità di tutta l’Ossola.


I Walser di Agaro percorrevano frequentemente queste mulattiere per raggiungere il fondovalle e poter commerciare il frutto delle loro fatiche: i prelibati spress, formaggi di alta quota, la cui fama è ancora oggi viva.


Salgo il ripido versante Est della valle Devero: sopra la mia testa il Monte Gorio, in basso la strada che serpeggia tra le graziose frazioni di Uresso, Croveo e Osso.

Ai boschi lussureggianti si alternano passaggi sulla roccia, il serizzo antigoriano, utilizzato spesso per architetture religiose e monumentali.

Prendo fiato sotto un ciliegio che cresce nei pressi di una baita e protende i rami verso la scarpata. Oltre le fronde, da contraltare i verdi prati di Esigo e la massa imponente del Cistella, onnipresente in ogni scorcio panoramico di questa ascesa.


A Pioda Calva, come suggerisce il nome, il bosco lascia spazio ad un ampio prato fiorito. Qui spunta l'arnica, una delle tante erbe che i Walser impiegavano a scopo curativo, chiamata anche starnutella perché una volta era utilizzata come tabacco da fiuto.


Arnica montana L

Poco più avanti del ripiano prativo, un caratteristico passaggio scalinato su roccia porta a superare il torrente che scende dalla diga; da qui in una mezzora di salita si giunge finalmente all’invaso.


La distesa d’acqua turchese ricopre dal 1938 i villaggi di Agaro e Margone. Furono vani i tentativi di impedire la costruzione della diga da parte di quel popolo che fieramente aveva lottato per secoli contro le avversità naturali, ricostruendo ben cinque volte le abitazioni distrutte dalle frequenti valanghe invernali.


Mi siedo su una roccia a consumare il mio pranzo al sacco, accecata dalla luce riflessa dal lago e in completa solitudine (a dirla tutta non ho incontrato nessuno lungo tutto il sentiero). A spezzare la quiete solo il sibilo del vento e il ronzio degli insetti. Penso ai Walser del Silenzio come li definisce Crosa Lenz in un libro che ne racconta le vicende, penso a quanto sia piacevole e a volte impellente la solitudine (soprattutto davanti ad un panorama come questo), ma al contempo quanto sia duro l’isolamento costante per un animale sociale come l’uomo.

Ubriaca di cibo e pensieri, mi avvio verso la strada del ritorno. Il sentiero che mi riporta a Croveo, si sviluppa più in alto di rispetto a quello dell’andata. Suzzo Alto, baite sparse mezzo ai prati punteggiati dall’arancione dei gigli, regala un’ampia visuale sulla valle sottostante.


Riconosco facilmente la piana di Verampio: dove la Toce spancia fu costruita la centrale idroelettrica, una delle tante qui in Ossola, ennesimo tassello della storia di questa valle sempre legata al fiume e allo sfruttamento delle sua acque.


Scendo spedita attraversando prati e poi distese di felci, altri grandini scavati nella roccia, poi ancora felci, poi boschi di latifoglie. Più veloce perché nel frattempo si è fatto tardi. Giungo finalmente alla strada asfaltata, a Beola, che mi ricondurrà alla macchina. La voce di un cane pastore, dal tono non proprio amichevole, e della sua padrona che lo richiama all’ordine rompono l’incanto. Ciao montagna, porto un pezzetto di te con me in città.


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