Lo ammetto: non sono mai stato un ragazzo selvatico, i miei approcci col mondo naturale si sono limitati a qualche dormita in pineta nei pomeriggi d'estate al mare o alle scorribande nei boschi con gli amici nelle pasquette adolescenziali; inoltre, sorte comune ad ogni animale urbano, raramente ho avuto la fortuna di riempirmi i polmoni con dell'aria che avesse più ossigeno che PM10.
Le attrazioni della vita nell'urbe, o distrazioni a seconda dei punti di vista, hanno sempre soddisfatto il mio animo vagabondo, prevalendo su tutti i possibili interessi di viaggio.
Fino a qualche anno fa, quando la vita d'ufficio passata per la maggior parte seduto davanti ad un computer, insieme all'abitare in una città altamente cementificata, mi hanno fatto sentire chiuso in una gabbia senza possibilità di fuga.
Ho letto e riletto L'ultimo grande uomo scimmia del Pleistocene, attraverso il quale ho viaggiato fino agli albori del genere homo quando, dalla Rift Valley, spinto dalla ricerca di condizioni ambientali migliori e dal suo istinto ad esplorare, inizia a diffondere i suoi geni in ogni angolo del pianeta, adattandosi alle condizioni ambientali più disparate.
É passato qualche milione di anni e mi chiedo quanto sia rimasto dentro di noi dello zio Ian, che bramava dal desiderio di andare oltre il conosciuto per il puro gusto di vedere l'altrove.
Proprio questa porzione di geni ha creato in me un desiderio incontrollabile di evasione dalla gabbia quotidiana.
La storia dell'umanità inizia con i piedi, diceva André Leroi-Gourhan, ed è proprio da quel punto che desidero ripartire, e nella stessa maniera: camminando.
Un atto di speranza e liberazione, metafora dell'umanità che deve provare a riprendere il cammino evolutivo in simbiosi con l'ambiente che ci ospita, e del quale facciamo parte.
Da quelle prime riflessioni ad oggi la mia attitudine è cambiata, ogni volta che torno ad andare per sentieri sento che la mia percezione può scrutare attraverso nuove porte e finestre, che si aprono spontaneamente grazie agli infiniti stimoli che la natura offre ai nostri sensi. Le esplosioni di colori nelle distese di larici in autunno, il profumo balsamico del pino mugo nei primi caldi primaverili, il fluire della vita che percepiamo attraverso il suono di un torrente che scorre.
Ho sempre avuto un problema con la concentrazione fin da bambino, quando la maestra diceva alla nonna che mi bastavano pochi minuti per svolgere i compiti, lei invece ne aveva bisogno molti di più per catturare la mia attenzione. E' come se non ci fosse nulla intorno a me che riesca ad attirarmi profondamente, e io avessi bisogno di viaggiare il più possibile nelle sconfinate praterie della mia immaginazione.
Oggi la mia mente riesce a rimanere nello stesso posto dove affondano i miei scarponi, e nella sequenza di un passo dopo l'altro provo la sensazione di sprofondare intensamente nella parte più sconosciuta del mio mondo parallelo, che corrisponde incredibilmente ai luoghi dove con Erica da qualche anno abbiamo iniziato a passare il nostro tempo libero.
La testa affollata di pensieri pesanti pian piano si svuota, e i nervi tesi per le inquietudini quotidiane si allentano, come il diradarsi della nebbia che avvolge le cime delle montagne che ci rivela i nostri obiettivi essenziali e ci aiuta a raddrizzare la rotta.
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